Bibi & Me

di Fabrizia Bartalucci

Il primo ricordo che ho dei cavalli risale all’infanzia quando in braccio a mio nonno, ne accarezzavo il muso morbido e caldo. Li ho sempre trovati animali nobili e fieri ma li ho avvicinati soltanto nei primi anni dell’Università, quando ho iniziato a frequentare un maneggio poco distante dalla città in cui allora abitavo.

L’atmosfera era elettrizzante: in poche lezioni andavo già regolarmente al trotto, poi al galoppo ed infine i primi salti. Mi veniva trasmessa l’idea che i cavalli fossero una sorta di “macchina ludica” in cui se premi un tasto ottieni un certo comportamento. E sembrava funzionare. Ma se è vero, com’è vero che ad ogni azione corrisponde una reazione, è altrettanto vero che nel rapporto con un essere senziente e non con una macchina, la reazione può essere molto diversa da quella che ti aspetti. Quindi dovresti avere gli strumenti per capirla, prevenirla o gestirla, adattandoti prontamente al cambiamento imprevisto.

Peccato che io non sapessi assolutamente niente dei cavalli, del loro comportamento, della loro comunicazione. E non ho saputo gestire un movimento dell’incollatura della cavalla dopo un salto, scivolando dalla sella e rimanendo con un piede incastrato nella staffa. La cavalla continuava a galoppare trascinandomi in una corsa impazzita. Me la sono cavata con la rottura del sacro ed un terrore profondo nei confronti di queste creature amate, che sarebbe durato per i successivi 25 anni. Poi ho incontrato Elena.

Potrei dire di aver conosciuto Elena per caso. Ma non sarebbe vero. Perché credo che si conoscano persone e situazioni solo nel momento in cui siamo pronti a ricevere ciò che possono darci, ed eventualmente disposti a cambiare le regole del gioco così come fino ad allora le abbiamo conosciute. E quel momento per me è arrivato la scorsa estate.

Ero in vacanza a Castagneto Carducci quando una cara amica – che non aveva mai abbandonato l’idea di rivedermi in sella – mi ha proposto una passeggiata a cavallo. Per la prima volta in tanti anni ho provato una curiosità ed un desiderio superiori al terrore. E mi sono lasciata tentare. In fondo cosa mi sarebbe potuto accadere? Una passeggiata in fila indiana con cavalli abituati a quel tipo di lavoro e una guida a fare da apripista.  Quindi mi sono informata presso la struttura in cui alloggiavo e mi hanno dato il contatto di Elena.

Ripensandoci adesso mi rendo conto di quanto la mia richiesta fosse inadeguata se non ridicola. Tuttavia Elena ha accettato di incontrarmi per parlarne e mi ha spiegato con gentilezza e chiarezza il suo tipo di lavoro. Mentre l’idea della passeggiata naufragava rovinosamente, germogliava in me l’idea di aver incontrato una persona che finalmente potesse aiutarmi a curare il terrore che provavo. Così le ho parlato della mia esperienza ed abbiamo deciso di tentare. Sono uscita da quell’incontro entusiasta.

Di Elena mi avevano colpito la professionalità, la gentilezza, la pacata e ferma sicurezza di chi ha grande competenza nel proprio lavoro. Avevo molto apprezzato l’impostazione scientifica derivante dal suo percorso accademico unita imprescindibilmente alla conoscenza dei cavalli, del loro linguaggio, del loro comportamento dovuti ad anni di esperienza. E da quel fine estate ogni week end e ogni momento libero che riesco a ritagliarmi prendo la macchina e raggiungo lei e Bibi, la splendida purosangue con la quale solitamente lavoro.

Uscivo dai primi incontri euforica: ritrovare il contatto con il cavallo, risentirne l’odore. Era come se riaffiorasse una parte fanciullesca di me, la compensazione emotiva dopo anni di paura e lontananza.

Elena intanto mi spiegava il comportamento del branco, mi esortava a prestare attenzione alle modalità di comunicazione dei cavalli fra loro, mi stava insegnando a capirli. Io invece capivo ben poco. O meglio. Con la testa la seguivo ma con la parte emotiva non riuscivo a connettermi, ad entrare in sintonia. Mi sembrava di essere atterrata su un pianeta sconosciuto di cui non parlavo la lingua. Ero davvero in confusione. Guardavo Elena muoversi con pazienza e leggerezza, e mi sembrava semplice. Lei sottraeva peso: poche parole, pochi gesti, pochi movimenti. Perché come spesso mi ripete, con i cavalli meno fai e più fai.

Poi veniva il mio turno ed ero goffa, impaziente ed inefficace. Avevo la sensazione che fra lei e i cavalli ci fosse un codice comunicativo segreto al quale non riuscivo ad accedere. Ma soprattutto non riuscivo a trovare un fil rouge, un metodo da applicare per poter riuscire. E non potevo trovarlo, perché non esiste un metodo. Il metodo era la Bibi stessa.

Non è stato facile da accettare. Sono stata educata ed abituata dal percorso accademico e manageriale ad organizzare, risolvere problemi, gestire persone per raggiungere risultati nei tempi prefissati. Non poteva esserci spazio per elementi di disturbo. Tutto doveva tornare. E questo era -credo- essenzialmente il motivo per cui non riuscivo a parlare con la mia Bibi. Non è facile smantellare una sovrastruttura che ti ha sostenuto per anni. Devi essere capace di rimetterti in gioco, di ripartire da capo. Ma la voglia che avevo di “parlare” con lei era più forte del resto. Solo allora ho iniziato a capire quel che Elena mi diceva da settimane: creare uno spazio di comunicazione basato sull’ascolto e sul rispetto reciproco. Ho iniziato a provare piano piano. I risultati non erano promettenti. Il rapporto fra me e Bibi era assolutamente asimmetrico nel senso che lei sapeva sempre prima di me come stavo, cosa pensavo, cosa avrei fatto e dove avrei sbagliato. Era il mio specchio. Mi rimandava, senza che inizialmente ne fossi consapevole, i miei stati d’animo. Mi rendeva consapevole del gap esistente fra le mie azioni e le mie emozioni, perché con i cavalli non puoi fingere, qualsiasi tipo di filtro è inefficace. Ho iniziato a guardarla con occhi diversi a prestarle ascolto ed attenzione. E qualcosa è iniziato a cambiare. Cominciavo a “sentirla” a notare i movimenti di occhi e orecchie a percepire se eravamo connesse, se era con me.

Ed Elena sempre lì. Come un sapiente facilitatore, con una capacità quasi maieutica di aiutarti ad esprimerti. Ci sono stati dei momenti topici nel nostro percorso, cadute e riprese, tempi di attesa e rincorse. Ma fra tutti ne ricordo uno che mi ha commosso. Uno scatto di me e Bibi rubato da Elena durante una sessione di lavoro. Siamo in pausa, entrambe di spalle e guardiamo insieme nella stessa direzione. Finalmente insieme. Elena era riuscita a cogliere con un’immagine il luogo dove volevo arrivare. Ma lei e Bibi lo sapevano già. Ed io ci sarei arrivata.

So che ci saranno ancora giornate no, dieci e cento momenti di scoramento e frustrazione. E so anche che dipenderanno in gran parte da me. Ma non smetterò di lavorare su quella sottile sintonia che abbiamo creato, perché è lì che troverò le risposte.

Provo una gratitudine immensa per Elena e Bibi: per tutte le volte che mi hanno aspettato, che mi hanno lasciato sbagliare e riprovare e riprovare ancora. Grazie

Fabrizia

Firenze, Marzo 2024